arte orientale · società

Revival buddhista in Pakistan… un bel progetto di preservazione e sviluppo

I tanti siti buddhisti lasciati in rovina in Pakistan potrebbero presto godere di una nuova e florida prospettiva di ripristino. È ciò che propone una nota ONG di Haryana (India), The Buddhist Forum (TBF), che avanza l’idea di una missione ambiziosa per salvare e rilanciare la gloria perduta degli antichi monumenti. L’intento è di preservare, ripristinare e valorizzare gli antichi siti buddhisti del Pakistan, di avviare un progetto turistico sul lungo periodo che sia autosostenibile e che generi entrate, e di monitorarne l’impatto e l’importanza.

Il Dharmarajika stupa a Taxila

Il TBF è già al lavoro per elaborare il progetto, coordinandosi con numerose altre ONG di spicco, con gruppi di cittadini o persone che possano contribuire a salvare il patrimonio culturale e artistico buddhista pakistano. Tra gli altri, anche il noto giornalista indiano Nayar Kuldip sta dimostrando vivo interesse per questo progetto che coniuga salvaguardia e promozione.

Com’è noto il Pakistan custodisce una notevole quantità di siti archeologici buddhisti: uno tra tutti, merita la pena di ricordare la fastosa città di Taxila, raffinato centro culturale d’epoca Gandhara. Sino a ora, però, quasi nulla è stato fatto per la loro valorizzazione: sono mancati interventi di mantenimento, progetti di riqualificazione, piani di sfruttamento turistico e intelligente. Ovviare a tali mancanze è l’idea che propone il TBF, e pare che inizi a incassare i primi consistenti consensi, tant’è vero che il presidente del TBF, Sidhartha Gauri, ha affermato che varie ONG di rilievo, tra cui la Edhi Foundation e il Mia Mir Welfare Trust, hanno già promesso tutto il loro sostegno al fine di salvare il salvabile e migliorare le condizioni attuali. Gauri ha inoltre ricordato che anche Karamat Ali, attivista per la pace, Matiur Rahman, vincitore del premio Magsaysay e l’ex ambasciatore Malia Lodhi hanno espresso la loro disponibilità a sostenere la causa.

Come primo passo, il TBF ha puntato i riflettori sui siti buddhisti della provincia pakistana del Sindh, molti dei quali fino a pochissimo tempo fa rimanevano sconosciuti ai più. Preliminarmente, Mastoor Fatima Bukhari, professore al Dipartimento di Archeologia dell’Università di Shah Abdul Latif, ha collaborato con il TBF per raccogliere informazioni sulle antichità buddhiste del Sindh. A seguito di questa prima fase di studio, attualmente il TBF sta cercando di coinvolgere anche altre organizzazioni buddhiste internazionali, cosa che potrebbe restituire al progetto un respiro globale, portandolo sin da subito all’attenzione di un pubblico molto più vasto.

Altro importante aspetto dell’operazione è il suo possibile risvolto sociale. Come ricorda infatti Sidhartha: «indiani e pakistani credono che il restauro di questi antichi monumenti contribuirà al processo di pace e armonia tra le due nazioni asiatiche». Egli inoltre lascia intendere che tale processo di riavvicinamento potrebbe iniziare proprio dall’allargare l’interesse alla preservazione dei siti in questione a diversi gruppi sociali o religiosi, ricordando che «i siti buddhisti in Pakistan sinora non erano protetti» e che i benefici di una loro accurata gestione ricadrebbero su tutti.

Come nota conclusiva, merita davvero la pena di ben sperare nel buon risultato dell’impresa, dato che il TBF ha già lavorato con successo alla valorizzazione di siti buddhisti in diversi altri paesi asiatici, tra cui Afghanistan, Bangladesh, India, Nepal e Sri Lanka.

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