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Modi va in Bhutan e così parla (anche) alla Cina

modi bhutanNarendra Modi, neoeletto Primo Ministro indiano, il 15 giugno scorso ha compiuto il suo primo viaggio ufficiale all’estero: due giorni in Bhutan, in occasione dell’inaugurazione di un ufficio del Parlamento bhutanese costruito con l’aiuto dell’India. Inoltre, avvierà le consultazioni per un progetto congiunto riguardante la costruzione di una centrale idroelettrica da 600MW. «Bhutan e India condividono un rapporto molto speciale che ha resistito alla prova del tempo»—ha detto Modi prima della sua partenza per la capitale del Bhutan, Thimphu—«così, il Bhutan è stata una scelta naturale per la mia prima visita all’estero». La scelta del Bhutan (grande quanto la Svizzera e con meno di 800.000 abitanti), però, non può fermarsi a questi piccoli accordi che potremmo dire afferire alla sfera dei rapporti internazionali da ordine del giorno, né alla semplice assunzione della stabilità nel tempo dei patti bilaterali (benché durante il mandato di Singh siano successi alcuni “incidenti”, come la sospensione di forniture di GPL agevolato e cherosene al Bhutan).

Il motivo che principalmente si è voluto mettere in rilievo, e che avrebbe spinto Modi in Bhutan, è il desiderio di riaffermare l’India entro il panorama geopolitico ed economico dell’Asia meridionale. Mentre l’India, infatti, sta lottando per uscire da una paralisi politica e frenare il rallentamento della sua economia, la Cina ha frattanto strategicamente costruito una rete di infrastrutture militari e commerciali attorno al Subcontinente. I progetti cinesi più rilevanti sono il finanziamento per la costruzione di un porto commerciale ad Hambantota in Sri Lanka, il controllo di un porto a Gwadar in Pakistan e l’appalto per un altro porto in Bangladesh. Inoltre, la Cina ha superato l’India sul fronte degli investimenti esteri in Nepal nei primi sei mesi del 2014, con il risultato che il Nepal, nonostante i legami etnici e religiosi che storicamente lo avvicinano all’India, attualmente ha rapporti migliori con la Cina che con il Subcontinente.

Innanzi a Modi c’è dunque la necessità piuttosto urgente di riavviare un dialogo internazionale per riconquistare posizioni strategiche nell’area asiatica del sud (le stesse posizioni lasciate “vuote” dal governo precedente). La sua strategia in tal senso è stata chiara sin da quando ha invitato sette leader dei Paesi vicini alla cerimonia del suo insediamento e ha scambiato lettere amichevoli con il Primo Ministro del Pakistan Nawaz Sharif. È stato il primo passo di un percorso che sul lungo periodo mira a rendere l’India il principale investitore straniero in tutta l’Asia meridionale per quanto concerne anzitutto le infrastrutture, proprio come adesso la Cina sta facendo nel resto dell’Asia e in Africa.

Alla luce di queste considerazioni ecco che emerge più chiaramente il perché della scelta del Bhutan da parte di Modi. Il Bhutan infatti è l’unico Paese dell’area con cui la Cina non ha ancora relazioni diplomatiche. Benché infatti i rapporti tra Cina e Bhutan non siano tesi, a impedire l’avvio della diplomazia tra i due è stata sinora una disputa di vecchia data su un problema inerente la linea di confine, disputa rimasta tutt’ora irrisolta dopo più di venti colloqui.

Il viaggio in Bhutan è dunque il segnale chiaro della politica di Modi: iniziare a sondare in modo soft l’influenza della Cina in Asia meridionale (Ranjit Gupta, un ambasciatore in pensione, ricorda come «il Bhutan può anche essere un piccolo paese, ma è strategicamente molto importante e… la Cina è dall’altra parte») e contemporaneamente dimostrare agli altri Paesi dell’area che anche l’India può essere, così come lo è con il Bhutan, un buon partner strategico sul fronte degli scambi economici (i rapporti con il Bhutan «saranno una priorità della politica estera del mio governo» ha infatti affermato Modi, non senza un implicito occhiolino a Nepal e vicinato). Un lungo percorso che pare però iniziare con il piede giusto.

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